Sapeva le forme delle nubi è un progetto espositivo di Matteo Pizzolante (1987), il quarto dei quattro artisti ospitati all’interno di A Sud Di Marte, un piano di residenze artistiche a cura di Ramdom, realizzato in collaborazione con Fondazione Elpis, in corso presso gli spazi di KORA– Centro del Contemporaneo da aprile 2022 a febbraio 2023.
Il progetto si inserisce all’interno di una riflessione più ampia che Ramdom sviluppa da anni sul concetto di margine; una riflessione attraverso la quale si prova a rimettere in discussione la nozione di centro.
Nello specifico, A Sud di Marte intende portare alla luce la visione di un Sud inteso non solo come luogo ricco di complessità, ma anche come opportunità per l’attivazione di uno sguardo obliquo capace di sollecitare costanti interrogativi.
Il titolo del programma prende ispirazione dal pianeta rosso che, nell’immaginario collettivo, ha sempre rappresentato il luogo altro per eccellenza, un’utopia a cui approdare, l’annuncio di qualcosa che è ancora da compiersi, ma il cui accadimento è sempre più prossimo.
Il progetto di Pizzolante per KORA – Centro del Contemporaneo è il naturale proseguimento della sua ricerca dedicata tanto all’interesse per lo spazio quanto alle immagini, alla loro corposità materica e alla loro temporalità. Questo duplice interesse rende quello dell’artista un lavoro che abita e abbraccia diverse discipline e che, seppure utilizzando i media contemporanei derivati dall’uso della tecnologia applicata – render, 3D ecc. – trova paradossalmente nel rigore compositivo della pittura rinascimentale la sua sintesi più coerente.
Le immagini che Pizzolante (ri)costruisce per la mostra, stampate sulle quattro porte attraverso la tecnica della cianotipia, sono espressione, come lui stesso afferma: di una lucida memoria del suo passato. La ricchezza e la finitura dei dettagli che da esse emerge è, quindi, ciò che le rende universali facendo leva, prima sull’importanza che esse hanno per la sua famiglia, e poi per tutti noi che in quegli stessi dettagli possiamo riconoscere dei piccoli frammenti della nostra vita.
Questo sistema di rimandi, enfatizzato dalla presenza nello spazio delle quattro porte come elemento architettonico che allude costantemente all’idea di soglia e di passaggio, fa si che il tempo raccontato non sia più solo un tempo personale, ma un tempo collettivo e che le storie presenti siano storie di relazioni e incastri nei quali almeno una volta tutti noi ci siamo trovati.
Quello della transizione è infine un elemento presente anche nelle due video proiezioni: due visi appartenenti a donne della sua famiglia ai quali Pizzolante ha adattato la texture del suo ritratto fotografico. Questo processo di deformazione, ambivalenza e mistero, idealmente ispirato al personaggio della Mamà Grande reso celebre dal romanzo “Cent’anni di solitudine” di Garcìa Marquez, diventa quindi una riflessione sulla trasformazione dell’identità di genere, sull’identità dello spazio e della sua storia che, nel corso dei secoli, è stato prima fortezza, poi castello, palazzo baronale e infine dimora privata assolvendo così a funzioni e modalità di utilizzo differenti.
Così come Ireneo Funes, protagonista del testo di Jorge Luis Borges “Funes o della memoria” da cui il titolo della mostra prende le mosse, anche Pizzolante restituisce la complessità dei ricordi attraverso la successione di dettagli che in modo diverso – il racconto dei parenti o la propria memoria personale – riaffiorano diventando oggetto.