La Festa dei Corpi Feriti è un progetto di espositivo di Agnese Spolverini (Viterbo,1994); la seconda dei quattro artisti ospitati all’interno di A Sud Di Marte, un piano di residenze artistiche a cura di Ramdom, realizzato in collaborazione con Fondazione Elpis, in corso presso gli spazi di KORA – Centro del Contemporaneo da aprile 2022 a febbraio 2023.
Il progetto s’inserisce all’interno di una riflessione più ampia che Ramdom sviluppa da anni sul concetto di margine; una riflessione attraverso la quale si prova a rimettere in discussione la nozione di centro. Nello specifico A Sud di Marte intende portare alla luce la visione di un Sud inteso non solo come luogo ricco di complessità ma anche come opportunità per l’attivazione di uno sguardo obliquo capace di sollecitare costanti interrogativi. Il titolo del programma prende ispirazione dal pianeta rosso che nell’immaginario collettivo ha sempre rappresentato il luogo altro per eccellenza, un’utopia a cui approdare, l’annuncio di qualcosa che è ancora da compiersi ma il cui accadimento è sempre più prossimo.
La ricerca di Spolverini, che nasce nel periodo di residenza a Castrignano de’ Greci presso KORA-Centro del Contemporaneo, parte da uno sguardo contemplativo sul paesaggio naturale, un paesaggio duro in cui le emersioni della pietra sono costanti e fondanti pur in una dimensione antropizzata.
È proprio dalle pieghe e dalle vulnerabilità della pietra che si sviluppa il progetto espositivo intitolato La festa dei corpi feriti. Le pietre raccolte in campagna, associate normalmente all’idea di un materiale forte, tramite uno sguardo congiuntivo (Bifo) diventano dei corpi feriti su cui emergono le vulnerabilità scavate dal tempo e dagli agenti atmosferici. Queste, nello spazio della sala superiore, vengono adagiate come figure stanche su un pavimento morbido che invita ad un contatto sensibile con lo spazio e con il materiale. Il tentativo è quello di permettere a chi entra nell’ambiente di prendersi un tempo lento per perdersi nelle pieghe della materia, per esplorarla con uno sguardo contemplativo abbracciando la temporalità dell’indugiare, senza finalità (Han).
Nello spazio inferiore, invece, si trova un lavoro che prende la forma del negativo, si fa suggestione notturna e accoglie le persone direttamente nelle ferite aperte della pietra, invitandole a posizionarsi su una sorta di tappeto in gomma ricavato dal negativo dell’alveolizzazione della pietra leccese, materia portante della costruzione umana nel Salento ma allo stesso tempo materiale che si deteriora e si mostra in tutte le sue fragilità.
Tutti gli spazi sono attraversati da una traccia sonora immersiva frutto della collaborazione con il sound designer Mauro di Ciocia. Questa, installata nell’ambiente sottostante, si propaga nella stanza d’ingresso invitando le persone a scendere. La traccia nasce dall’estrazione diretta dalla pietra di suoni che, facendosi astratti nel corso della durata del brano, invitano le persone a perdersi in sonorità tattili e melodiche.
Il lavoro è un’esortazione a riappropriarsi di un tempo improduttivo e contemplativo come unico tempo in cui è possibile esplorare nuovamente un contatto sensuale con il mondo e i corpi, entrambi sempre più dematerializzati e sottomessi ad automatismi e tempi accelerati che tentano di espellere il negativo e la fragilità dall’esistenza, impedendoci di entrare nelle pieghe sensibili del mondo.
Mostra a cura di Claudio Zecchi, Paolo Mele
photo by Alice Caracciolo